La settimana scorsa ho scritto dei “no” di noi genitori. No necessari, contenitivi, protettivi.
Oggi, per par condicio, parlo dei no dei bambini.
Chi ha bambini di più di un anno e mezzo (all’incirca) capisce perfettamente a cosa mi riferisco.
Quei no di quando si impuntano e sembra non ce ne sia per nessuno.
Il no nel bambino e del bambino ha infiniti significati.
E il genitore medio se si ferma un attimo, riesce ad attribuire un significato preciso al no.
Questo perché nel tempo come adulti abbiamo riscoperto quanto siano importanti le emozioni, nostre e anche quelle dei bambini.
E quindi riusciamo a capire, magari dopo un primo momento di nervosismo (almeno a me capitava e capita ancora eh,…sono raramente “immediatamente empatica”), il significato del NO che nostro figlio ci propina.
Perché NO è una parola velocissima da dire che blocca subito mamma e papà.
E appena scoprono questo potere, cavalcano l’onda.
E quindi il no è per la stanchezza.
Il no è per il cavolfiore che non mi va a genio.
No perché ho sonno e non voglio mollare.
Mi oppongo e ti dico no.
Dico no e non so neppure io perché mamma.
Ho bisogno di essere spronato e ti dico di no.
I no sono facili da accettare?
No.
Ma anche i no dei bambini sono necessari.
Servono a loro per crescere, per capire il confine…confine che nel tempo, l’ho scritto tante volte, si trasforma da un confine fisico ad un confine di personalità, di relazione.
Per i nostri figli è difficile accettare e accogliere i nostri, per noi altrettanto accogliere e comprendere i loro.
E come i nostri nel tempo li fanno crescere, grazie ai loro negli anni cresciamo anche noi, valutando di volta in volta quali no vale la pena assecondare e con i quali invece vale la pena tenere il punto.
E dalla risposta ai loro no, nel tempo, vedere che genitori siamo.