Da poco tempo ho salutato la mia nonna, la rosa che in parte mi ha cresciuta.
E per la prima volta nella mia vita ho affrontato la morte da adulta accanto a dei bambini e mi è stato chiaro il senso del modo di dire “i bambini aiutano ad andare avanti, sono la vita che prosegue”. Anche se non si è trattato di un saluto improvviso, ma preparato da una malattia che da anni le aveva lasciato il corpo e rubato la testa togliendola a noi giorno dopo giorno, ogni distacco ti porta a fermarti, per poi andare avanti.
La vita e la morte si intrecciano continuamente, lo leggiamo nei libri, nella natura, in storie di vita che ogni giorno scorrono più o meno accanto a noi. E ritmi di nascita e morte si avvicinano, anche nelle ore di attesa che precedono “l’attimo in cui”, colme di un dolore indescrivibile, talvolta sordo, dal punto di vista fisico nel parto e dal punto di vista del cuore nella morte. Nella mia famiglia in particolar modo questo duemilasedici ha accolto Ginevra solo qualche mese fa e nel grande intreccio del cerchio della vita, viene spontaneo pensare che l’una abbia preso il posto dell’altra.
Le settimane prima, i giorni precedenti “il giorno” sono stati il tempo della cura in cerchio. Insieme alle donne della famiglia, ognuna con il proprio tempo e il proprio sentire, ci siamo alternate attorno ad un letto che ha raccolto storie del nostro femminile, e che ha portato alla luce racconti di figli antichi mai nati, di cui alcune di noi sapevano, altre no. Ci siamo abbracciate, salutate, consolate. Abbiamo riso pensando a quando bambine la nonna ci diceva “Non dite le parolacce che perdete metà della vostra femminilità”… e abbiamo pianto pensando a quando tutto questo “stare in cerchio” non ci sarebbe stato più.
Si sono intrecciati lacrime e sorrisi, ascolti e parole.
E finché ascoltavamo gli ultimi respiri della nonna, la piccolina di famiglia respirava tra una poppata e l’altra, come in un intreccio di respiri. Donne grandi accarezzavano con una mano un corpo che pian piano si spegneva e con l’altra teste curiose, che di giorno in giorno crescono, in un intreccio di mani.
E c’è stato il tempo del lutto a casa, con i bambini.
I miei bambini stavano giocando quando sono rientrata e ho comunicato loro che la nonna era morta.
Giulio “Come?”. Momento di domande ampie… interpretabili in vario modo.
“Non respira più Giulio” rispondo.
“Neanche con la mascherina?” chiede Zeno.
“No Zeno, neppure con la mascherina”.
“Ah”. Attimo di silenzio “Posso continuare a fare il puzzle?”.
Certo Zeno…
Intreccia l’infinito con i contorni finiti di un puzzle di Spiderman.
Sofia invece vuole i dettagli, più dettagli possibili.
Come è successo? Chi c’era? E adesso cosa succede. E dove andrà, oltre a restare nel nostro cuore? Ma si incontra con suo marito, tuo nonno, mamma? Ma il funerale, come sarà? Chi si siederà davanti?”.
Spiego, al meglio che posso, intrecciando il cielo e la terra, l’anima e il corpo, sorrisi e occhi lucidi.
Al pomeriggio la andiamo a vedere.
“Ma è bellissima! Io non l’ho mai vista così bella mamma!”. Sofia esordisce così.
Lo so tesoro, i suoi lineamenti non erano più gli stessi e tu l’hai conosciuta già malata.
Poi oggi, e per sempre, ha il suo vestito più bello.
Diciamo una preghiera.
Ci raggiungono i nonni e lo zio, rientrato da Londra. Appena entrano Giulio li apostrofa con “Di’ Ave Maria”.
Poco dopo arriva una zia. Giulio le salta in braccio e invita anche lei “Zia, di’ Ave Maria”… Sorridiamo.
Nei giorni successivi gira per casa e ogni tanto intona l’Ave Maria, come un mantra… rielabora il lutto a modo suo, variando a volte le vocali come cantasse “stendipanni”… intreccio di sacro e profano.
Nei giorni del mio saluto, sono nati bambini e bambine, vicini a me, nel cerchio di Gaia. Ci sono stati momenti pieni di parole e comunicazioni, e altri di silenzio assoluto. Abbiamo ascoltato e accolto, e altrettanto lasciato andare. Ho guardato e chiuso gli occhi.
La vita e la morte si intrecciano, sempre.