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Siamo PRIME, questo è il problema

PRIME è da leggersi all’inglese, come la celebre formula di consegne di un sito.

Mi ronza in testa da un po’ il titolo di questo scritto, in cerca di contenuto.
Oggi che scrivo è sabato, pomeriggio.
Direi il primo di questa primavera, nuova sotto molti aspetti.

I bambini stanno giocando in giardino e non hanno apparentemente bisogno di me.
O meglio. Avevo tentato di rientrare in casa per scrivere al mio tavolo da lavoro dato che mi hanno volutamente esclusa dal loro gioco, ma sono venuti a chiamarmi. Dovevo stare comunque fuori. Così abbiamo trovato un buon compromesso.
Scrivo sui gradini di casa con loro che ogni tanto arrivano, chiedono, ripartono.
Mi viene spontaneo ripensare ad alcune amiche che in queste settimane mi hanno chiesto di scrivere sul cambio di vita al quale portano i figli. E non si parla (solo) di intimità della coppia che forse a ben guardare è quella che, sul lungo periodo, è meno compromessa.

Riprendo dopo mezz’ora, perché è arrivato Giulio senza una scarpa. Voleva una “paletta lossa”.

Ecco cosa intendono le mie amiche.
Non tanto i grandi cambiamenti, ma le piccole cose.
Prima dei bambini se decidevo di scrivere, l’azione aveva un inizio, uno svolgimento e una fine.
Un dialogo in coppia iniziava e si concludeva nel tempo stabilito dai due attori.
Se volevi uscire per una passeggiata, il tempo di preparazione e uscita poteva essere anche inferiore ai cinque minuti.
Dopo un figlio non è più così, in particolar modo, se è piccolo.
Richiede tempi lunghi di adattamento, nella mente e nel corpo.
Se ripenso anche solo al nostro tentativo di vacanze “culturali” dello scorso anno, naufragate e finite in una rigenerante settimana in montagna tra mucche e prati, ho il chiaro esempio di cosa significhi adattamento. Perché pensiamo che siano i bambini che devono “adattarsi” al mondo… invece non è (solo) così. Tutti i protagonisti della nascita si devono adattare, bambini e genitori.
Personalmente ho impiegato molto a cedere, a lasciare che i miei limiti si allentassero per accogliere esigenze “altre”.
Non è immediato. Non è sempre indolore.
C’è chi si sente mamma o papà da subito, c’è chi invece ha bisogno di…tempo, indefinito tempo.
E l’adattarsi reciproco è continuo.
Le prime letture di Sofia lo scorso anno, sillabe unite, mi hanno riportato in un balzo agli inizi, quando mi sono scontrata con il tempo lento del divenir madre. Oggi scrive e legge veloce e il tempo del balbettio mi sembra lontanissimo.

Spesso si sente dire: “Eh, ma lo devi abituare” e una serie infinite di cose a cui dovremmo abituare i nostri figli per poter continuare a vivere la vita di prima.
Perché siamo prime, appunto.
Vediamo, clicchiamo, otteniamo.
Mi serve un’informazione, digito, ho la risposta.
Ma diventare genitori non è essere prime.
E’ anzi l’opposto.
E’ allentare, rallentare.
E’ aspettare che i tempi di ognuno siano maturi, evitando il confronto ed evitando di darsi un tempo entro il quale le cose cambieranno, quando verremo esclusi dal gioco.

La realtà che i miei figli mi insegnano ogni giorno è che devo essere flowing.
Il pensiero di grandi filosofi del passato, dei fisici quantistici oggi, è quello dei bambini.

flowing

Alle mie amiche sorrido, perché so cosa si prova a passare il sabato pomeriggio allo zoo anziché ad una mostra in una città che “visto che ci siamo, passiamo il week end via…”.
La cosa migliore, è stare allo zoo. Sorridere delle scimmie, stupirsi per gli ippopotami, alzare la testa per vedere dove finisce il collo lungo della giraffa.
Nel tempo non ci si rassegna, ma si impara a stare allo zoo con grande piacere, pensando che verranno i tempi in cui alla mostra ci si andrà tutti insieme.
Quando passerà questa fase?
Domanda di tanti genitori rispetto a qualsiasi fase di vita dei propri figli.
Non si può dire.
Ma in questi giorni pensavo: e se i miei figli si chiedessero altrettanto “Ma quando i miei accoglieranno questa mia fase?” o “Per quanto sarà così mia mamma?” o “La dovrei forse…abituare?”.
Rovescio di una stessa medaglia che conquistiamo ogni giorno.
Essere meno prime e più flowing, forse il segreto è proprio questo.

Eccolo che torna.
Giulio adesso vuole una “Fellali”.
Qui le cose di complicano.

 

NB: le “l” di Giulio sono “r”.