Domenica pomeriggio di addobbi.
Musiche natalizie di sottofondo.
L’allestimento del presepio quest’anno è affidato alla componente maschile della famiglia, mentre
l’albero e le “varie&aeventuali” a me e Sofia.
A tratti la scena non mi sembra reale.
Li guardo mettere le statuine e ripenso a quando la capanna era un garage per le hotwheels.
In fila provano se le luci funzionano ancora, tendendo il filo in due mentre il terzo collauda. Io rido
ripensando a uno di loro che aveva appena compiuto un anno avvolto dalle lucine accese, prigioniero del suo stesso desiderio di partecipare agli addobbi.
Si attaccano palline e tutte vengono appese incolumi. Fino allo scorso anno almeno due o tre
trovavano fine prima di raggiungere la loro destinazione.
Cantano tutti e tre la canzone della loro prossima recita di Natale. Perché anche la scelta delle
musiche di Natale è stata motivo di musi lunghi.
Discutono sul significato di “avvento”, di attesa “che vuol dire aspettare”, di Gesù che compie gli
anni ogni anno, di Natale che è nascere come nascono i neonati. Ascoltandoli filosofeggiare penso
che avrei dovuto solo avere la pazienza di aspettare che diventassero più grandi tutti e tre, anche
per gli addobbi di Natale.
L’allestimento si conclude in un tempo minore rispetto al previsto. Ricordo interi fine settimana
con gli scatoloni degli addobbi in giro per casa e allestimenti che non avevano mai fine perché interrotti da poppate, cambi pannolini e “mamma/papà giochi con me?”.
Le luci dell’albero di quest’anno, collaudate da tutti e tre, riflettono su di me il senso più profondo della parola attesa.
E in questa domenica di dicembre penso che ogni pallina rotta, ogni garbuglio di luci, ogni interruzione degli addobbi, sia servita per cogliere nel tempo il senso più profondo di tante piccole attese, per godere anche di questi momenti, radi per la verità, in cui la normalità diviene magia.