Siamo appena rientrati da un compleanno.
Con una bacchetta fluorescente, una formula magica in rima e fantasia senza limiti mi trasforma in
un “rondigrusauro”, a suo dire un uccello preistorico, incrocio di almeno tre animali diversi.
Accolgo la trasformazione: “Allora posso volare via…e ti lascio qui, così puoi fare tutto quello che
vuoi!”.
Ne approfitto “giusto un po’…”, per sottolineare che mi ha appena dato della cattiva perché gli ho
vietato una cosa.
“Nooooo….non voglio fare tutto quello che voglio! Ti ritrasformo in mammaaaaa!”.
Ritorno mamma e rimango dove sono, mentre la sua bacchetta diventa in un attimo spada con cui
improvvisare una guerra con suo fratello.
Penso a quanto i bambini abbiano necessità di confini.
Confini fisici quando sono piccoli, alla ricerca continua di contenimento per sopravvivere, perché
l’essere tenuti avvolti, in braccio, in una fascia, gli assicura quel confine che creandone uno a loro,
li tranquillizza, li fa sentire in relazione con il proprio corpo e con quello di chi si prende cura.
E tutto questo nel tempo si trasforma in un bisogno di confine “altro”.
La necessità di sentirsi dire dei no, di vedere che esiste un recinto dentro il quale si è al sicuro,
anche quando gli sembra stretto.
Il confine deciso dall’adulto, non dalle richieste del bambino.
Ci chiedono, contrariamente a quanto spesso ci sembra, confini nel tempo, nei contenuti, nelle
informazioni, nelle azioni che li vedono protagonisti.
Confini che proteggono perché i bambini possano crescere nella relazione, prima di tutto quella
con se stessi.
Perché se il loro chiedere è lecito, il nostro confinare è salvifico.