Bacio della buonanotte e in automatico prendo dalla mensola il suo peluche che da qualche
anno lo accompagna dalla veglia al sonno.
“No, mamma. Non vuole più dormire con me”.
Lo guardo.
Deve leggere nei miei occhi parecchia confusione.
Mi spiega per filo e per segno cos’è accaduto. Ometto i dettagli, preziosi e segreti.
Conclusione è che il suo cagnolino, compagno notturno, è diventato grande, così, da una notte all’altra, e non ha più bisogno di lui per dormire.
Può stare nella mensola.
E’ un attimo quello in cui ripongo questo pupazzo che stato a lungo parte delle routine notturna.
Mi verrebbe da accarezzare il peluche.
Poi rido del mio pensiero, ma veramente… mi fa tenerezza.
Mi stupisco di come alcuni passaggi del “diventar grandi” siano repentini, improvvisi, spontanei e profondi… e per quanto siano da tempo sul punto di realizzarsi, poi quando si compiono mi lasciano sempre stupita.
Passano nella mia testa mille altre traversate di questi anni di genitorialità, in cui rimanendo su una riva, li abbiamo visti raggiungere l’altra in un processo di distacco coinvolgente, necessario, adeguato, nel quale ognuno ha preso il suo posto, perché anche quando si rimane fermi, necessariamente si deve riorganizzare lo spazio.
Mi abbasso per un altro bacio e una carezza che hanno un significato diverso.
“Mamma, però gli ho detto che può tornare a dormire qui… se vuole”.
Anche i peluche hanno bisogno di una base sicura alla quale poter tornare.