Mentre scrivo è domenica sera.
Tardi. Tardi rispetto alle mie aspettative.
Avrei dovuto essere qui a scrivere, nei miei pensieri di tempo, almeno due ore fa.
Ma i programmi cambiano.
Un piccolo malessere di Giulio mi ha portata a stare accanto a lui finché non si è addormentato.
A volte la mamma è la medicina più efficace, anche quando si offre il papà.
Continua a girarsi, sembra non trovare una posizione che gli permetta di rilassarsi.
Accanto, penso a tutte le serate che ho passato vicina a lui per insegnargli ad addormentarsi,
cercando una posizione buona per entrambi.
Piange, sottovoce, dice che ha male.
Accanto, risento dentro tutte le volte che piangeva e non capivamo cosa avesse.
E tra me penso che la parola sia un dono grande davvero.
Lo rassicuro con qualche carezza, gli dico che gli voglio bene e passerà.
Accanto, ricordo quando gli bastavano le sue mani sul mio viso per rassicurarlo.
Suo fratello, dal letto accanto, si lamenta e mi dice che “sto più tempo con Giulio”.
Accanto, vorrei dividermi in due, forse in tre pensando a lei che dall’altra stanza non dice niente
ma sicuramente pensa che “sto più tempo con i suoi fratelli”.
Si addormenta.
Accanto, è il momento di sistemare la coperta e uscire, per iniziare a scrivere.
Rimanere accanto per me è stato necessario.
Per capirmi, carpirli, capirci.
Accanto siamo evoluti, rimanendo vicini via via in modo diverso.
Rimanere accanto mi ha permesso, e mi permette nelle sue più diverse forme, di capire, quando è
il momento di uscire.
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